
Tempo per sé e prospettiva
di Emma
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Chiacchiero con un’amica che mi parla di una seduta di massaggio.
Scopro con sorpresa che non sopporta i massaggi perché, mentre si sottopone a quel momento di benessere e ozio, pensa alle millemila cose che deve fare, si agita e non si gode il massaggio. La sua mente comincia a vagare tra liste interminabili di compiti e scadenze, sussurrandole all’orecchio che non dovrebbe trovarsi lì, che è pigra e anche un po’ egoista. Che dovrebbe smettere di sciupare così le sue ore.
Risultato: non si rilassa, anzi, si innervosisce ancor più di quando è arrivata. Per questa ragione ha deciso di evitarli del tutto, sono solo una perdita di tempo. In realtà però, potrebbero essere un’ottima occasione per prendersi un po’ di tempo per sé, per il proprio corpo e per la propria mente sopraffatta, cosa che influisce positivamente sulla prospettiva che si ha riguardo alla propria agenda oltre che sul proprio benessere e, di conseguenza, sulla tanto agognata produttività.
Ma perché stentiamo a dedicarci dei momenti di sacrosanto ozio, dimensione tanto ammirata nell’antichità?
Secondo me, questo atteggiamento nasconde enormi sensi di colpa.
Oltre a una buona dose di insicurezza e bassa autostima.
“Non me lo merito”,
sussurra la vocina della scimmia dentro la nostra testa.
“Non ho tempo per me stessa, ho troppo da fare”.
E se non fosse così? E se questo atteggiamento nascondesse una problematica più profonda? Qualcosa come una forma-pensiero grigia e vischiosa agganciata con ferocia alla nostra vita. Un fardello che il nostro ego pensa di dover portare. Una sorta di malsana sicurezza da cui non vogliamo staccarci per paura di finire nel baratro dell’ignoto.
Non sto criticando la mia amica, anzi. Parlo così perché mi piacerebbe aiutarla a comprendere che le cose non stanno così. Che si merita tempo per sé stessa. Che deve prendersi tempo per sé stessa. Che lo deve a sé stessa e a chi la circonda.
Questo aneddoto mi ha ricordato un’attitudine da cui sto cercando faticosamente di staccarmi in questi ultimi anni. E sto parlando di anni.
Non è facile lasciar andare. Nemmeno le cose che sappiamo non ci servono più.
Non devo giustificare i miei desideri e bisogni.
Fin da piccola ho sempre tenuto da parte, per ultime, le cose che adoravo.
Ricordo con chiarezza disarmante di una volta a tavola con la mia famiglia: stavamo pranzando e nel piatto c’erano diverse pietanze.
Io tenni per ultima la mia preferita. Peccato che dopo aver mangiato il resto non avessi più appetito.
A malincuore, detti la pietanza avanzata a mio fratello, che adottava un altro metodo e aveva mangiato per prime le cose che gli piacevano di più lasciando per ultime le pietanze che non amava. Furbo, eh?
Mentre io ero per il “dulcis in fundo”, mio fratello era più per il “carpe diem”.
Ci ripenso spesso ultimamente, perché ho constatato che tendo a usare ancora il metodo dulcisinfundo e non solo per il cibo. Anche per le attività. E qui casca l’asino: ho capito perché tendo a lasciare per ultime le attività che amo di più – quelle più importanti per me –, sia in ambito professionale che nella vita quotidiana; quasi che il fatto di divertirmi mentre le svolgo le rendesse in qualche modo meno serie, meno importanti per il raggiungimento dei miei obiettivi.
Fino a poco tempo fa, la mia parola d’ordine quando mi scoprivo a pensare di dedicarmi a qualcosa che mi piaceva particolarmente, tipo scrivere, è stata “DOPO”. Sì, perché prima dovevo controllare la mail e i social, gestire la richiesta di un cliente, liberarmi di piccole questioni burocratiche, rispondere a quella mail, evitare un’invasione di alieni intenzionati a sterminare il genere umano, pianificare all’infinito gli articoli, studiare, guardare un paio di tutorial, studiare ancora, perfezionare il mio piano editoriale e tenere traccia delle mie attività, gestire un’altra richiesta non urgente.
La giornata finiva e io mi sentivo stanca e frustrata: una sensazione appiccicosa di inconcludenza rendeva amare le mie serate.
Nonostante avessi svolto un numero notevole di attività, avevo tralasciato quelle che mi davano più soddisfazione. E che, forse, sono anche quelle che dovremmo curare per prime e con la maggiore attenzione possibile.
C’è una differenza abissale tra essere indaffarati ed essere produttivi.
Se prendessi a riferimento la matrice di Eisenhower, potrei subito constatare che davo (e ancora oggi mi capita) la priorità a cose né importanti e spesso nemmeno urgenti. Cose che, se mi fossi posta la domanda “Questa cosa x può aspettare?”, sarebbero sicuramente andate in coda alle attività della giornata. O, in qualche caso, addirittura cancellate.
Dopo anni di ricerca in ambito di crescita personale, produttività e pianificazione, ho capito che così non funziona, se non la smetto con i sensi di colpa non otterrò mai ciò che voglio. Non realizzerò il mio scopo.
Insomma, ho dovuto confessare a me stessa una verità tanto fastidiosa quanto utile: quando riempio ogni momento di cose che non sono fondamentali né importanti, sto solo procrastinando.
La (progressiva) eliminazione dei sensi di colpa è inversamente proporzionale alla scoperta del mio vero Scopo.
Se sono stanca, preoccupata, arrabbiata o sento di aver qualcosa di irrisolto che mi tormenta, come posso aiutarti?
Che cosa mai ti darò se non la mia stanchezza, la mia preoccupazione, la mia rabbia, il mio fardello irrisolto?
Per questo motivo e, più in generale, per vivere meglio, ho cominciato a praticare meditazione tutti i giorni. Sono ormai quattro anni che pratico e i benefici sono indubbi. Ma la cosa che più mi ha stupita è che il mio senso di colpa per la mezz’ora dedicata alla meditazione si è lentamente sciolto come un gelato sotto il sole di agosto. Liquefatto quello, la mia lista di priorità ha cominciato a cambiare forma per adattarsi alle mie esigenze più profonde.
Il tempo che dedico alla cura di me, mente, corpo e spirito, mi è indispensabile per raccogliere energie e focus da utilizzare quando lavoreremo alla tua strategia.